I ravioli alla romana
Può essere interessante sapere che la ricetta dei ravioli con la ricotta e l'aggiunta di spinaci è una ricetta romana.
Infatti trova i suoi natali tra la fine del Settecento e gli inizi dell'Ottocento tramandata manoscritta da una famiglia romana.
Gli "stuzzicadenti"
Lo sapevate che gli "stuzzicadenti" sono romani? A fine cena infatti gli antichi romani usavano pulirsi i denti con il "pinna" che spesso era d'argento.
Cosa sono le "puntarelle"?
Sono i germogli di una varietà particolare di cicoria detta catalogna. Questi germogli vengono tagliati a strisce lunghe e sottili e immersi in una bacinella con acqua fredda in modo che si arriccino (ci si può aggiungere anche alcuni cubetti di ghiaccio).
La cipolla
La cipolla entra di rigore nella preparazione di tantissimi piatti: minestre, sughi, risotti, secondi vari.
Un tempo Cipollaro veniva detto il venditore ambulante e Monte Cipollaro era una collinetta che sbarrava il passo tra San Giovanni in Laterano e Santa Croce in Gerusalemme coltivata a cipolle e agli.
Fave e Pecorino: un antipasto ma anche un fine pasto!
Fave e pecorino per i romani è l'irrinunciabile appuntamento del primo maggio, più che una ricetta infatti questa è una tradizione che si tramanda proprio in questo giorno durante le scampagnate da accompagnare senz'altro con pane casereccio e del buon vino rosso, rigorosamente dei castelli!
Sapori completamente diversi, che si sposano alla perfezione: la delicatezza delle fave rende più dolce il sapore forte del pecorino.
Il sale
L'olio
A Roma come in quasi tutte le città bagnate dal Mediterraneo la pianta dell'olivo è stata considerata, fin dai tempi più antici, sacra. Il prodotto estratto dai frutti era utilizzato nelle cerimonie religiose per i rituali e le offerte.
Per gli Egizi ad esempio l'olio era un dono degli dei. I Fenici lo chiamarono addirittura "l'oro liquido" e lo vendevano negli scali insieme alla porpora. In Grecia, in Palestina, in Siria e in Turchia la coltivazione di ulivi era molto diffusa tanto da bastare al fabbisogno interno ed averne per esportarla. In Grecia l'olio era usato anche per scopi medicamentosi e per le lampade votive. Fu proprio la Grecia ad esportare l'olio in Italia Meridionale e Roma venuta a contatto con l'ulivicultura iniziò la produzione nell'Agro Pontino tanto che G. M. Culumella nel "De Rustica" ne raccontò le caratteristiche.
Con l'espansione della Repubblica e dell'Impero Romano L'ulivo fu esportato ovunque in tutti i paesi che si affacciavano sul Mare Nostrum- Con l'avvento del Cristianesimo l'olio tornò ad essere usato nelle cerimonie sacre oltre per l'illuminazione delle lanterne.
Nel III secolo a.C. ci fu un consumo esponenziale di olio perché venne impiegato anche per lucidare le statue, per raffinare le pietre preziose, per lavorare il cuoio, per la cosmesi e la medicina. Con la caduta dell'Impero Romano, alla crisi politica si aggiunse anche quella economica ed agricola così quando scesero i Longobardi sottomettendo in parte l'Italia oltre a l'olio si iniziò ad usare anche grassi animali tipo lo strutto e il lardo.
Ma gli stessi Longobardi e poi gli Svevi, gli Angioini e il Papa capirono quando fosse importante la produzione di olio tanto da diventare uno dei prodotti più commercializzati durante le Repubbliche Marinare.
Le spezie
I Romani facevano molto impiego di spezie sia nella preparazione dei cibi che nelle bevande ma anche per la cosmetica e i profumi.
I testi dell'epoca ci insegnano che le spezie in uso erano molte, circa 100, quasi tutte utilizzate principalmente per conservare e per insaporirli i cibi.
Le più adoperate erano il pepe, il nardo, il cumino, l'origano, lo zenzero, la maggiorana, il prezzemolo, il rosmarino, lo zafferano, il santoreggia, il balsamo, l'incenso, la mirra e l'alloro.
La mirra veniva usata per profumare il vino, il balsamo e l'incenso in cosmetica. Il cumino era mescolato ad altri condimenti o cosparso sulle pagnotte appena sfornate. Augusto aveva creato una flotta apposita per raggiungere l'estremo Oriente e importare le spezie.
La città di smistamento della maggior parte delle spezie era Alessandria d'Egitto.
Un intero quartiere della città di Roma era destinato al loro commercio.
Il "cazzimperio"
Le spezie maggiormente usate oggi nella cucina romana, sono soprattutto il pepe e il peperoncino. Spesso nelle bancarelle dei mercati rionali capita spesso di vedere gli odori accuratamente legati a mazzetti, il sedano, il prezzemolo e il basilico.
Il sedano, o sellero come viene chiamato a Roma, è arrivato a Roma grazie al cardinale Luigi Corsaro, che ne coltivò in abbondanza nel giardino di sua proprietà, vicino alla fontana di Trevi. Oggi il sellero, insieme ai finocchi e ai ravanelli è indispensabile per gustare a fine pasto il cazzimperio: gli ingredienti indispensabili sono pepe macinato, sale e olio.
Il prezzemolo, presente in tutte le stagioni, conferisce sapore a molti piatti come i carciofi alla romana o alla giudia.
Lo stesso basilico, si sposa con tutti le pietanze a base di pomodoro e conferisce particolare aroma a minestre, pastasciutte e sughi vari. Re indiscusso degli arrosti è invece il rosmarino, presente in molte marinate. Seguono, poi, la salvia (che rende profumatissimi i famosi saltimbocca alla romana), la maggiorana, i semi di finocchio, l'origano, l'alloro che rimanda ai fegatini di maiale e l'immancabile mentuccia, la quale caratterizza il profumo di numerosi piatti tradizionali.
I bignè di San Giuseppe
I bignè di San Giuseppe fritti sono un dolce tipico della cucina Italiana e derivano da una tradizione antica risalente addirittura all'epoca romana. Secondo la tradizione dell'epoca, dopo la fuga in Egitto con Maria e Gesù, San Giuseppe dovette vendere frittelle per poter mantenere la famiglia in terra straniera e, per questo motivo, i romani gli diedero il simpatico appellativo di "frittellaro".
Proprio per questo motivo, in tutta Italia, I bignè sono i dolci tipici della festa del papà, preparati per festeggiare e celebrare la figura di San Giuseppe. Ogni città, provincia o regione ha ovviamente la sua variante dei bignè ma l'elemento fondamentale che accomuna e contraddistingue questi dolci è che devono essere fritti in abbondante olio, proprio come tradizione vuole. Negli ultimi anni, però, ha preso piede anche una variante al forno dei bignè che risultano così essere un po' più leggeri e meno calorici rispetto alle classiche frittelle.
I bignè di San Giuseppe fritte sono dolci intramontabili, apprezzati sempre da tutti!